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domenica 26 marzo 2023

I briganti lucani nei 'diari' di due ufficiali francesi



Durante il decennio francese non furono pochi gli ufficiali francesi che scesero in Basilicata al comando delle truppe che avevano avuto l’incarico di reprimere il fenomeno del brigantaggio, già allora, e ben prima dell’Unità d’Italia, molto sviluppato nelle nostre contrade. Alcuni di essi non erano soltanto soldati, pronti a mettere a ferro e fuoco i paesi lucani, ma anche acuti osservatori delle realtà che attraversavano e di cui ci hanno lasciati interessanti spaccati.
Ci riferiamo, ad esempio, all’aiutante maggiore Duret de Tavel che, il 23 novembre del 1807, insieme al battaglione francese del reggimento Jsembourgh, marciò da Napoli verso le Calabrie.
L’ufficiale, il quale fu impegnato per ben 3 anni nella campagna contro i briganti, scrisse al padre a Parigi 37 lettere nelle quali descrisse le sue impressioni e le vicende militari che lo videro protagonista. Rileggendole oggi, dopo tanti anni, si avvertono i pregiudizi verso le popolazioni incontrate ma anche i dubbi e gli interrogativi sulle azioni intraprese di fronte alla dilagante miseria di quei territori.
I soldati francesi attraversarono, dunque, la Basilicata, passando per Lauria dove bloccarono i briganti che, dopo aver ucciso 7 militari di scorta ad un convoglio diretto a Napoli, stavano inseguendo il resto del distaccamento. Raggiunsero, poi, Castelluccio “un grande villaggio ben edificato e distante un miglio dal Lao”, dove furono costretti a fermarsi perché il fiume, divenuto impetuoso a seguito delle abbondanti piogge, aveva inondato la “grande vallata”. Dopo arrivarono a Rotonda per poi proseguire fra le “alte montagne di Campotenese” sotto lo sferzare della pioggia e della neve.
Particolarmente interessante il passaggio di una lettera nella quale il francese esprime forti dubbi sulla distinzione tra briganti ed abitanti visto che “il brigante e colui che coltiva la terra si somigliano talmente che non si sa bene come distinguerli: hanno le stesse usanze, indossano lo stesso costume e portano lo stesso ornamento”.
Anche il generale bonapartista Nicolas Philips Desvernois ci ha lasciato un significativo ricordo delle vicende militari che lo videro protagonista tra il giugno del 1807 ed il settembre del 1808, periodo nel quale comandò le truppe francesi nella costiera amalfitana e nella zona di Lagonegro. Ad appena 37 anni l’ussaro, il quale aveva fatto carriera grazie alle campagne militari del Reno, dell’Italia e delle Piramidi, aveva avuto il compito di estirpare il brigantaggio nei territori affidatigli. Lo zelo dimostrato nell’adempiere al suo incarico è dimostrato dal fatto che, sul percorso tra Amalfi e Lagonegro, fece piantare ben 184 alberi della morte.
Eppure anche il generale francese è molto attento alla realtà che lo circonda, alle sue profonde contraddizioni, alla difficile situazione in cui versano le popolazioni.. Tant’è vero che, dopo aver percorso i centri del Lagonegrese (Lauria, Castelluccio, Rotonda, San Costantino di Rivello, Moliterno), “toccando con mano le piaghe di ciascun paese”, alla fine dell’ aprile del 1808, invia al re Giuseppe Bonaparte, un dettagliato rapporto, spinto dal “dovere di risalire dagli effetti alle cause”.
E qui vengono descritte le vere piaghe di quelle società: “l’apatia dei sindaci e dei membri del decurionato, il loro profondo egoismo, la incapacità assoluta della maggioranza, la doppiezza di alcuni furbi bricconi”, l’assenza “di amore sincero per la patria”. Ed ancora la corruzione dei funzionari pubblici, le angherie di ogni specie, le vessazioni fiscali, la paure dei potenti. Mentre, infatti, sulla povera gente ci si riversava per il pagamento di piccole imposte, con “colpevole riguardo per le famiglie ricche”, gli agenti del fisco “non osavano presentarsi presso le loro case per far versare le loro quote”.
Non dimentica, infine, l’ufficiale di auspicare la nomina a magistrati di “persone di alta moralità”o di destinare per il sostentamento delle nutrici e dei bambini abbandonati “gli stanziamenti” dei Comuni derivanti dal “lusso esorbitante delle feste e dei divertimenti”.

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